Dopo un anno di inattività editoriale del sito, credo e ritengo sia doveroso aggiornarvi sulla situazione in cui versa il portale e sul perchè siamo stati costretti a fermare la programmazione di contenuti e pubblicazioni.
Prima di tutto fatemi ringraziare una persona speciale, dedita al lavoro, al progetto e alla passione come Matteo che ha retto negli ultimi anni sulle sue spalle il peso di un blog come LFFL che ha fatto, negli anni, parte della storia web italiana soprattutto per quanto concerne il mondo Open Source.
La motivazione per cui abbiamo fermato la pubblicazione è semplice: i costi non erano più sostenibili e siccome quando abbiamo rilevato anni fa il blog dal suo fondatore, Roberto, l’obiettivo era dargli nuova linfa finanziando una redazione, progetti editoriali e tante altre attività, tale proposito non è stato più perseguibile nonostante ci abbiamo provato più volte.
LFFL ha sempre rappresentato per tutti noi un progetto “a perdere” che, per chi bazzica nell’ambiente web, sa bene quali costi ci sono di mantenimento ma soprattutto nel pagare i redattori (e relative tasse) che ogni giorno col proprio tempo e lavoro danno vita ai contenuti che vengono fruiti dagli utenti di un portale web. Ho letto un po’ i vostri commenti e c’è chi dice che con le pubblicità, i link di affiliazione il blog si sarebbe potuto senza problemi mantenere.
Non è così purtroppo. LFFL per la natura anche dell’utenza che lo ha frequentato negli anni ha uno dei tassi di AdBlock più alti tra tutti i portali web che abbiamo creato, cresciuto e portato avanti negli anni. Abbiamo anche limitato sempre al minimo partnership sponsorizzate, link referral e altri contenuti che potessero, anche lecitamente, “sporcare” ciò che ha sempre rappresentato questo sito.
In questi anni abbiamo più volte aperto candidature per la ricerca staff sia per contributi gratuiti che per pagare quanto dovuto al fine di rilanciare il progetto. Anche in questo caso la partecipazione è stata scarsa, poco interesse a prendere parte ad un progetto attivo e a sporcarsi le mani in un mondo agguerrito come quello della rete.
Ovviamente non sto puntando il dito all’utenza, ci mancherebbe, di errori probabilmente ne abbiamo fatti anche noi nel cercare di rendere vivo un progetto particolare che richiede un’organizzazione ben diversa da quello che normalmente si è soliti fare sul web affinchè tutto giri a dovere e sia autosostenibile.
Nell’ultimo anno ho ricevuto molteplici proposte di acquisto per trasferire la proprietà del dominio ma ho rifiutato tutto: LFFL come vi ho detto è dal 2016 in mia gestione e in perdita costante e non è stato snaturato per i propri utenti. Ho deciso di mantenerlo online per consentire alle persone di continuare a fruire dei contenuti sviluppati negli anni e non avrei mai consentito di rendere questo progetto solo a scopo di lucro in cui l’utenza non fosse stata al centro.
Ecco quindi due possibili proposte per dare nuova vita ad LFFL:
Tutti coloro che vorranno contribuire, partecipare ad un progetto collettivo o anche solo dire la loro suggerendo alternative e/o altre opzioni potranno contattarmi all’indirizzo email info@lffl.org. Sarò ben lieto di ascoltare tutti e di portare avanti le migliori opzioni per non far morire del tutto questo sito che, vi prometto, a prescindere da quali proposte arriveranno, che continueremo a sostenere i costi di mantenimento e il sito rimarrà online per tutto coloro che ne vorranno usufruire.
L'articolo LFFL è fermo da un anno: cos’è successo e perchè? sembra essere il primo su Linux Freedom.
Mozilla risponde a Google, che ha da poco annunciato la versione 100 di Chrome, con Firefox 100. Questa nuova stable release è disponibile sin da ora su tutte le piattaforme supportate: Linux, Windows e macOS, oltre ad Android e iOS su mobile. Il raggiungimento di questo importante traguardo è stato facilitato, almeno in parte, dal nuovo ciclo di rilascio accelerato. Una nuova build del browser viene rilasciata più o meno ogni mese da ormai tre anni. In ogni caso, 100 release sono un risultato da celebrare. Vediamo insieme tutte le novità!
Buona parte delle novità sono incentrate sulla riproduzione video. Arriva, ad esempio, il supporto per i sottotitoli in modalità Picture-in-Picture (per ora solo su Netflix, YouTube e Prime Video), dei video in HDR su macOS o la decodifica hardware AV1 in ambiente Windows. Questa funzionalità è stata richiesta dagli utenti mediante Mozilla Connect.
Se siete su Linux potete godervi le nuove GTK overlay scrollbars. Abbiamo già accennato di questa nuova novità nella versione precedente, Firefox 99. Queste scrollbar non rivoluzionano il browser, ma aiutano a renderlo più moderno e al passo con i tempi. Il correttore ortografico integrato di Firefox è ora in grado di gestire le correzioni da più dizionari di lingue contemporaneamente. Not bad.
Come in ogni release sono stati corretti diversi bug. A proposito di bug: Mozilla avverte che alcuni siti Web “potrebbero non funzionare correttamente” a causa del numero di versione di Firefox a tre cifre (100, appunto). Dubito che possiate incontrare particolari problemi ma era giusto dirlo.
Su Android e iOS arrivano due nuovi sfondi per la schermata iniziale. La cronologia ora è più chiara. Non viene più mostrata l’URL in primo piano e quando possibile le pagine inerenti il medesimo argomento vengono raggruppate in una cartella. I siti visitati più volte vengono rimossi per avere un maggior ordine.
Firefox 100 è open source e completamente free, potete scaricare questa nuova versione dal sito Web ufficiale di Mozilla. Se avete già Firefox installato sul vostro PC riceverete questo aggiornamento automaticamente tramite un aggiornamento in-app o, su Ubuntu, tramite Snap Store o repository.
P.S: se volete rimpiazzare la versione Snap con la .deb
potete consultare questa guida ad hoc.
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Pine64 vuole diventare, con le dovute proporzioni, l’analogo open source di aziende come Samsung e Huawei. Per farlo deve mettere a disposizione dei propri clienti una suite completa di prodotti: smartphone, tablet, laptop… e relativi accessori. Se dal punto di vista dei device venduti dall’azienda non manca nulla (Pinebook, Pinephone, etc…), lato accessori si può fare ancora molto. Per questo l’azienda ha annunciato le nuove PineBuds, un paio di cuffie wireless in-ear di fascia alta.
Pine64 promette che queste buds avranno tutte le funzionalità che ci si aspetta da un paio di cuffie Bluetooth nel 2022: cancellazione del rumore ambientale, una lunga durata della batteria e un’ottima indossabilità. Hanno un totale di 6 microfoni, 3 per cuffia, oltre ad un input touch situato sul lato esterno di ciascun bud. Ad oggi non sono state condivise ulteriori specifiche.
Le cuffie sono state presentate dopo aver lanciato la PineSound, una piattaforma di sviluppo per auricolari e un lettore audio digitale, che utilizza il chip audio Bestechnic BES2300 Bluetooth 5.0. La scheda di sviluppo PineSound sarà messa a disposizione di chiunque sia interessato a sviluppare sulla piattaforma o ad utilizzarla per qualche progetto audio fai-da-te. La scheda dispone di 2 ingressi coassiali e ottici (sinistra) e uscita (destra), un jack per cuffie standard da 3,5 mm, jack bilanciati da 4,4 mm e 2,5 mm, un connettore SMA, USB-C e porte touch e LCD.
La base che ospita gli auricolari è stata progettata in modo da consentire il flash di un firmware personalizzato creato dagli utenti stessi. Ciò apre gli orizzonti a infinite possibilità per hacker, sviluppatori e geek (modificare il funzionamento dei controlli touch, regolare il suono, etc).
Ad oggi questo è tutto quello che posso dirvi, trovate l’annuncio ufficiale di Pine64 qui. Altre notizie sulle PineBuds sono attese per le prossime settimane, vi terrò aggiornati!
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Steam è ufficialmente disponibile sullo Snap Store: chiunque può installare l’app e testarla anche se per ora si tratta di una beta. Durante il Linux App Summit (LAS), tenutosi questo weekend a Rovereto, Canonical ha nuovamente confermato che sta “facendo di tutto” per migliorare la situazione gaming su Ubuntu. Come parte di questo sforzo, intende semplificare e appianare i problemi che gli utenti devono affrontare per configurare una postazione da gioco.
La Snap app di Steam è pacchettizata da Canonical e non da Valve. Questa è l’ennesima riprova del fatto che Canonical punta tantissimo su Snap, come ha confermato in una recente intervista Mark Shuttleworth.
Ken VanDine di Canonical ha voluto specificare che possono esserci bug e lacune in termini di funzionalità o prestazioni, cosa del tutto normale poiché si tratta ancora di una beta. Ha anche aggiunto che il suo team lavorerà al meglio per correggere i problemi non appena verranno segnalati. VanDine ha anche specificato che la versione beta di Steam dovrebbe funzionare con tutti i giochi nativi Linux e con Proton v5.13 (o inferiore).
Volete provare Steam in formato Snap? Vi basta aprire il terminale e dare il seguente comando: sudo snap install steam --beta
. Terminata l’installazione aprite l’app ed effettuate il login, fatto ciò non vi resta che provare a scaricare un gioco della vostra libreria per giocare.
Canonical ha anche rivelato che sta assumendo un intero team dedicato al miglioramento dell’esperienza di gioco su Ubuntu, quindi potremmo presto parlarvi di nuove iniziative e idee. Stay tuned!
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Dopo aver provato a fondo Ubuntu 22.04 LTS ho dedicato qualche giorno a Pop!_OS 22.04 LTS (d’ora in avanti Pop OS 22.04). Questa nuova LTS porta sui nostri PC il lavoro svolto da System76 nei mesi scorsi. L’azienda americana si è basata su Ubuntu 22.04 dando però la propria impronta grazie al desktop COSMIC. Andiamo a vedere nel dettaglio quali sono le novità di Pop OS 22.04.
Il sistema operativo utilizza GNOME 42 insieme a COSMIC per creare un’esperienza utente su misura. COSMIC personalizza la UX introducendo opzioni per il tiling, app launcher non-fullscreen, quick launcher per cercare le app e aree di lavoro (workspace) gestite verticalmente. Tutti aspetti a cui ci si abitua in pochi minuti.
Le nuove opzioni di pianificazione degli aggiornamenti sono ora disponibili nel pannello Impostazioni > Aggiornamento e ripristino del sistema operativo. In questa sezione gli utenti di Pop OS possono stabilire una data e un orario per gestire e programmare gli aggiornamenti (software repository, Flatpak e Nix).
Le notifiche di aggiornamento ora vengono visualizzate settimanalmente per impostazione predefinita, un po’ come avviene su Linux Mint, ma ovviamente la frequenza può essere regolata. Se abilitate gli aggiornamenti automatici non vi verrà notificato nulla, il sistema si aggiorna senza necessità di conferme.
Pop OS 22.04 vede l’arrivo di un nuovo pannello che funge da Help Center nelle Impostazioni. Questo pannello consente di ottenere assistenza, trovare collegamenti alla chat della comunità, inviare ticket di supporto a System76 (solo per hardware di System76, ovviamente) e generare file di registro per aiutare con la risoluzione dei problemi.
Pop!_Shop, il gestore software predefinito della distribuzione, è stato aggiornato e ora ha una “vetrina” in cui vengono esposte le app aggiornate di recente. Le novità riguardano anche il backend: gli sviluppatori hanno ottimizzato il codice per rendere l’app più veloce e fruibile.
Altre modifiche includono una visualizzazione degli spazi di lavoro migliorata, migliori prestazioni e un miglior supporto per configurazioni multi-monitor. La capacità massima del registro di log journald
è stata limitata a 1 GB. Lo scheduler di System76 ottimizza le prestazioni indirizzando le risorse alla finestra a fuoco, ciò farà felici i gamer. Il parco app è stato aggiornato, a bordo troviamo Firefox 98,GNOME Terminal 3.43.9, GEdit 41.4, GNOME Settings 41.4.
Rispetto a Ubuntu 22.04, equipaggiato con Linux 5.15, Pop OS 22.04 viene fornito un kernel più recente: Linux 5.16. System76 rilascia le nuove versioni del kernel più frequentemente rispetto a Ubuntu.
Come in Ubuntu anche su Pop OS RDP è il nuovo software di default per l’uso del sistema da remoto. Analogamente PipeWire rimpiazza PulseAudio per l’audio processing. Qualsiasi software progettato per funzionare con PulseAudio è compatibile con PipeWire, secondo System76 questo cambiamento aprirà le porte a una migliore qualità audio e a una maggior personalizzazione.
Potete scaricare Pop OS 22.04 dal sito Web ufficiale di System76. Vengono fornite due immagini .iso
: una per gli utenti con schede video NVIDIA e una per chi ha Intel/AMD. Assicuratevi di scaricare la versione corretta per il vostro hardware in modo da ottenere la migliore esperienza possibile. I requisiti di sistema impongono un processore a 64 bit, oltre a un minimo di 4 GB di RAM e 16 GB di spazio di archiviazione.
Se siete già su Pop OS 21.10 potete eseguire l’aggiornamento diretto a Pop OS 22.04. Per farlo date i seguenti comandi dopo aver eseguito un backup dei vostri file personali:
sudo apt update
sudo apt full-upgrade
pop-upgrade release upgrade
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Nel 2020 la software house tedesca Paragon Software ha annunciato di voler portare il proprio driver NTFS nel kernel Linux. Questo driver era in precedenza una soluzione proprietaria ma, dato lo stato di NTFS, l’azienda ha deciso di fare un bel gesto mettendo a disposizione di tutti il software. La notizia è stata presa con grande entusiasmo, ne abbiamo parlato anche qui su LFFL.
L’anno scorso, dopo aver superato molti cicli di revisione, il nuovo driver è stato effettivamente inserito nel kernel Linux 5.15, per la felicità degli utenti che utilizzavano ancora il vecchio driver ntfs-3g
. Oggi, a pochi mesi di distanza dall’arrivo nel kernel, stanno emergendo preoccupazioni perché sembra che nessuno stia dedicando del tempo alla manutenzione del driver.
Sebbene Paragon Software si sia impegnata a mantenere questo driver, almeno a parole, da quando è arrivato in Linux 5.15 non ci sono stati aggiornamenti importanti. Uno degli sviluppatori che ha contribuito con una serie di patch al codice NTFS3 durante il processo di revisione, Kari Argilander, ha sollevato in questi giorni diverse preoccupazioni circa lo stato del driver.
Una rapida ricerca su Git non mostra infatti modifiche sostanziali al codice da quando è stato inserito in Linux 5.15. Gli ultimi commit nel ramo di sviluppo di Paragon risalgono a ottobre e novembre dello scorso anno. Kari ha deciso di mettere per iscritto le sue perplessità attraverso la mailing list del kernel, riassumendo la situazione. Kari afferma di essersi messo in contatto con il manutentore di Paragon, offrendosi anche in prima persona per aiutare nella manutenzione del driver, senza però ottenere alcuna risposta. Ritenendo questo driver, di fatto, in stato di abbandono si chiede se debba essere rimosso dalla linea principale. A questo punto è intervenuto Linus Torvalds, il quale ha confermato che se nessuno si farà carico della gestione del driver è meglio rimuoverlo, in modo da non avere due driver NTFS entrambi in stato di abbandono.
Vi terrò aggiornati sugli sviluppi di questa spiacevole situazione. Paragon, se ci sei, batti un colpo!
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In questi giorni è stato presentato il POCO F4 GT, uno smartphone pensato espressamente per i videogiocatori. Le caratteristiche tecniche sono ovviamente di primo piano ma sono i dettagli a fare la differenza. Ad esempio risulta vincente l’idea di inserire due tasti aggiuntivi che trasformano lo smartphone in una specie di joypad. Vediamo tutte le caratteristiche tecniche di questo prodotto.
Il prodotto è in vetro e alluminio, materiali pregiati ma anche poco maneggevoli: 8,5 millimetri di spessore per 210 grammi di peso. Oltre ai due trigger cui accennavo poc’anzi c’è anche un comodo LED di notifica sul retro.
Il display è un AMOLED da 6,67″ con risoluzione fullHD+, refresh rate a 120Hz e 10-bit TrueColor. Non manca l’always-on display, che molti disattivano per risparmiare la batteria. Non sarà questo il caso perché la batteria è pari a 4.700mAh e si ricarica rapidamente grazie al caricatore a 120W e al sistema HyperCharge che permette di arrivare al 100% in meno di 30 minuti. Cosa manca? La ricarica wireless.
Il processore è lo Snapdragon 8 Gen 1 con GPU Adreno 730 e tagli da 8 o 12GB di RAM e 128 o 256GB di storage non espandibile. Lo smartphone è il top della potenza e dunque scalda molto. POCO, per risolvere il problema, ha deciso di utilizzare la LiquidCool Technology 3.0, un sistema di raffreddamento molto avanzato che riesce ad abbattere le alte temperature, soprattutto mentre si sta giocando.
Abbiamo poi tr fotocamere a bordo del POCO F4 GT:
Lato connettività troviamo Wi-Fi 6, Bluetooth 5.2, NFC e infrarossi. Lo smartphone ha connettività 5G ed è dual-sim.
Il sistema operativo è ovviamente Android 12 sul quale troviamo la MIUI 13 e il launcher di POCO che offre funzioni speciali che consentono di personalizzare il LED di notifica o di usare i tasti pop-up anche se non si sta giocando.
Lo smartphone è probabilmente un best buy perché non ha alcuna pecca evidente e il prezzo, tema che approfondiamo in coda, è relativamente contenuto, soprattutto acquistandolo in queste ore.
Oltre al POCO F4 GT è stato presentato anche il POCO Watch, un prodotto pensato per gli appassionati di fitness che cercano di far emergere il loro stile e la loro personalità. Tra le caratteristiche principali della sua scheda tecnica spiccano in primo luogo il display touch AMOLED da 1,6″ e gli oltre 100 quadranti personalizzabili.
Interessante per gli sportivi il sistema Multi GPS che vi segue durante l’attività sportiva: sono oltre 100 le modalità di esercizio installate.
A livello di autonomia, lo smartwatch in questione si propone con una batteria che può durare fino a 14 giorni, ovviamente il consumo è fortemente legato alla tipologia di utilizzo.
Su Aliexpress, sede dello store ufficiale POCO, che ha riservato un’offerta “early bird” molto interessante e che durerà solo 48 ore. Questi i prezzi Early Bird, validi da questa mattina alle ore 09:00 fino alle 23.59 del 29 aprile 2022:
Sarà in offerta anche il nuovo POCO Watch, anch’esso appena presentato, che sarà venduto a 59.9$ invece che a 69.9$. Potete riscattare il Coupon Venditore direttamente nella pagina del prodotto che vi interessa, subito sotto il prezzo. Cliccate Ottieni Coupon e troverete lo sconto applicato direttamente al momento del checkout.
Ci saranno premi per gli acquirenti più rapidi:
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L'articolo Ufficiale il POCO F4 GT: lo smartphone punta tutto sulla potenza sembra essere il primo su Linux Freedom.
Come sapete Canonical ha deciso di puntare forte sugli Snap, a confermarlo nuovamente in questi giorni è stato Mark Shuttleworth in persona. Per questo motivo, d’ora in avanti, troveremo sempre più applicazioni pre-installate in questo formato su Ubuntu. Una di queste, lo sapete bene, è il browser Mozilla Firefox che già da oggi viene distribuito sotto forma di Snap app, anche in Ubuntu 22.04 LTS.
La mia opinione sulla versione Snap di Firefox ve l’ho già data e la riporto di nuovo. L’esperienza non è eccezionale ma nemmeno così male. Sicuramente si nota una certa lentezza all’avvio se lo lanciate dopo l’accensione del PC, in questo scenario la versione .deb
è più veloce. Dopodiché le differenze si assottigliano e, anzi, sono pressoché inesistenti. In questo articolo vediamo come installare la versione .deb
per utilizzarla al posto di Firefox-Snap. Come mai dovreste farlo? Beh, sappiate che le app Snap hanno diversi aspetti che non vanno giù ad una buona fetta di utenti:
Tutti problemi che i diretti interessati stanno attivamente cercando di risolvere. In particolare l’ultimo punto è sotto la lente di ingrandimento: se volete rimuovere Firefox Snap per questo motivo sappiate che se avete pazienza il problema potrebbe essere risolto a breve.
Dando il comando apt install firefox
su Ubuntu 22.04 andate ad installare la versione Snap di Firefox. Per ovviare al problema c’è una procedura da seguire. La prima cosa da fare è aggiungere il PPA di Mozilla, poi si procede con l’installazione di Firefox .deb
e infine è necessario assicurarsi che Firefox Snap non venga reinstallato in un secondo momento.
Andiamo con ordine. Se vi interessano eseguite il backup di tutte le impostazioni importanti del browser (es. i segnalibri). Fatto ciò rimuovete Firefox Snap eseguendo il seguente comando da terminale:
sudo snap remove firefox
A questo punto aggiungete il PPA a cui facevo riferimento poc’anzi:
sudo add-apt-repository ppa:mozillateam/ppa
Ora arriva il punto delicato. Assegnamo una priorità maggiore al pacchetto Firefox PPA/deb. Per farlo copiate e incollate questo script:
echo ' Package: * Pin: release o=LP-PPA-mozillateam Pin-Priority: 1001 ' | sudo tee /etc/apt/preferences.d/mozilla-firefox
E poi, se volete che gli aggiornamenti vengano installati automaticamente, potete dare questo comando:
echo 'Unattended-Upgrade::Allowed-Origins:: "LP-PPA-mozillateam:${distro_codename}";' | sudo tee /etc/apt/apt.conf.d/51unattended- upgrades-firefox
A questo punto dando
sudo apt install firefox
andrete ad installare la versione .deb
del browser di Mozilla. Job done!
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L'articolo [GUIDA] Come installare Firefox in formato .deb su Ubuntu sembra essere il primo su Linux Freedom.
Se qualcuno sperava in un’apertura da parte di Canonical nei confronti di Flatpak, beh, si sbagliava di grosso. Il fidanzamento non s’ha da fare perché Ubuntu è innamorato di Snap e in casa Canonical non si vuol dar spazio ad alcuna alternativa.
In una sessione di Q&A, tenutasi per celebrare il rilascio di Ubuntu 22.04, è stato chiesto al fondatore di Ubuntu, Mark Shuttleworth, se l’edizione desktop del sistema operativo avrebbe mai preso in considerazione il supporto per Flatpak “out of the box”. La sua risposta è stata piuttosto incisiva: no. Anche se installare Flatpak su Ubuntu è relativamente semplice e alla portata di tutti, non è la strada che Canonical vuole che i propri utenti intraprendano.
Posso dire che in questo momento Flatpak non fa al caso nostro. Non credo che abbia un livello di sicurezza sufficiente e inoltre non penso che abbia lo stesso livello di affidabilità di Snap.
queste le parole di Shuttleworth. Che ha poi proseguito senza peli sulla lingua:
Mi piace il fatto che le persone trovino strade diverse per risolvere il medesimo problema […] penso che offriremo un’esperienza di gran lunga migliore agli sviluppatori e agli utenti se concentriamo i nostri sforzi su qualcosa che possiamo migliorare. Ad oggi c’è un numero enorme di applicazioni pubblicate come Snap: chiaramente agli sviluppatori piace l’esperienza di pubblicazione, e ai consumatori piace la semplicità di integrazione in Ubuntu.
Inutile dire che Snap non è perfetto e, anzi, ha alcune grosse lacune, soprattutto quando si parla di performance. Lo sappiamo noi, lo sa Canonical e lo sa anche Mark Shuttleworth:
Ci sono sicuramente aspetti per i quali dobbiamo migliorare l’esperienza Snap su desktop. I tempi di esecuzione all’avvio sembrano essere davvero molto importanti, quindi è qualcosa su cui possiamo concentrarci. E dobbiamo anche gestire attentamente gli aspetti legati alla sicurezza […]
Shuttleworth è ben conscio del fatto che l’argomento “Snap vs Flatpak” genera opinioni forti negli utenti. Sostiene però che
… ci siamo guadagnati il diritto di andare in profondità e di poter fare le cose come ci piace, esplorare i percorsi che vogliamo esplorare e mettere a disposizione di tutti i risultati a cui arriveremo.
E voi? Cosa ne pensate?
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L'articolo Mark Shuttleworth si espone sul binomio Ubuntu – Flatpak sembra essere il primo su Linux Freedom.
Neanche il tempo di provare Ubuntu 22.04 Jammy Jellyfish, di cui vi ho raccontato le novità e le mie impressioni in questo articolo, che Canonical sta già lavorando per il futuro. E il futuro è Ubuntu 22.10 che, come di consueto, arriverà in autunno.
Anche questa volta è stata rispettata la solita regola (non scritta) secondo cui il nome è composto da due termini che iniziano con la stessa lettera (zz di Zesty Zapus e poi AA per Artful Aardvark, Bionic Beaver, Cosmic Cuttlefish, Disco Dingo, Eoan Ermine, Focal Fossa, Groovy Gorilla, Hirsute Hippo, Impish Indri e poi Jammy Jellyfish). Questa volta la lettera da usare è la k’: Shuttleworth e soci hanno optato per Kinetic Kudu! Proprio così: Ubuntu 22.10 sarà Kinetic Kudu!
Si tratta di una combinazione regale perché il Kudu, come insegna Wikipedia, è una maestosa antilope che popola le zone boschive dell’Africa orientale e meridionale. Il cudù o kudu ha un’altezza al garrese variabile tra 1 e 1,5 metri e un peso che va dai 120 ai 300 kg, con i maschi di dimensioni maggiori rispetto alle femmine. Il manto può essere bruno o grigio-blu, con molte sottili strisce bianche verticali. I cudù maggiori hanno una sorta di “ciuffo” sul collo e sulle spalle e una “criniera” lungo la gola. I maschi hanno corna con una, due o tre pieghe che possono essere lunghe fino a mezzo metro. Una bestiola con cui è meglio non scherzare troppo.
Kinetic è un aggettivo solitamente associato al moto o all’energia (cinetica). Dato che 22.10 è la prima release post-LTS, sembra un aggettivo consapevole. Andare oltre, muoversi verso qualcosa di nuovo: tecnologie, idee e approcci. Questa l’interpretazione che credo abbiano voluto attribuire in Canonical.
Ubuntu 22.10 sarà rilasciato a metà ottobre 2022. Inizieremo a scoprire qualcosina di più quando lo sviluppo sarà ufficialmente iniziato e potremo mettere le mani sui primi pacchetti. Avremo sicuramente una nuova versione del kernel Linux, nuovi driver grafici e una serie di software aggiornati. È probabile che il cuore pulsante sarà GNOME 43 e dovrebbe essere pronto anche il nuovo programma di installazione basato su Flutter.
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L'articolo Ubuntu 22.10, al via lo sviluppo: svelato il codename! sembra essere il primo su Linux Freedom.
Mi sono preso qualche giorno per testare con mano il lavoro fatto dagli sviluppatori di Canonical e ora sono pronto a parlarvi di Ubuntu 22.04 LTS Jammy Jellyfish. Questa nuova LTS porta sui nostri PC una mole colossale di modifiche e miglioramenti che sono stati sviluppati e testati negli ultimi anni in Ubuntu 20.10, 21.04 e 21.10. Quali sono le novità più interessanti? Proverò a rispondere a questa domanda nel prosieguo dell’articolo.
Chi legge regolarmente questo sito ha già una buona idea di cosa offre Ubuntu 22.04 LTS. Posso dire subito che le novità risulteranno consistenti per chi di voi viene da Ubuntu 20.04 LTS, mentre chi ha già testato le release successive avrà un salto più soft. La nuova versione del sistema operativo di Canonical si presenta con un nuovo switcher dell’area di lavoro orizzontale, un nuovo app launcher, nuovi colori di accento per l’interfaccia utente e con il supporto per RDP. A bordo troviamo il kernel Linux 5.15.
In quanto LTS release avrà ben cinque anni di aggiornamenti garantiti: bug fix, patch di sicurezza, supporto, aggiornamento di app, etc. Considerando che il 90% degli utenti di Ubuntu usa una versione LTS possiamo dire che garantire cinque anni di aggiornamenti non è affatto male.
Il cuore pulsante di Ubuntu 22.04 è GNOME 42, anche se molte applicazioni sono ancora “a vecchio” e si basano su GNOME 41. GNOME 42 è la prima release a mettere libadwaita veramente al centro del progetto e gli sviluppatori di Ubuntu temevano che il passaggio a libadwaita potesse dare luogo a instabilità non essendoci stato il tempo necessario per testare tutto a dovere.
Volendo fare un confronto con la precedente LTS release di Ubuntu le differenze ci sono e si notano, tutto l’ambiente Ubuntu si basa su quanto di nuovo è stato introdotto in GNOME 40. Nuovo look e design rivisitato: invece di un desktop vuoto GNOME 40 mostra subito la panoramica delle attività e gli spazi di lavoro sono orizzontali. Ci si può spostare tra i vari workspace utilizzando le gestures o il mouse.
Le prime cose che si notano dopo aver toccato con mano il sistema operativo, soprattutto se venite da Ubuntu 20.04, sono un tema GNOME Shell “leggero” e le modifiche apportate dai designer di GNOME. Come risultato del loro lavoro, Jammy propone menu e suggerimenti compatti, un’applet calendario più snella e un OSD ridisegnato (cambio volume, luminosità, etc) che occupa meno spazio sullo schermo.
Gli sviluppatori hanno dovuto operare un adeguamento per quanto riguarda la dock, che in Ubuntu è posta sul lato sinistro dello schermo mentre in GNOME è una bottom bar. Gli spazi di lavoro sono leggermente più piccoli nella panoramica rispetto al 21.10 e beneficiano di un maggior padding.
Anche il tema Yaru GTK di Ubuntu introduce alcune modifiche significative, la maggior parte delle quali sono state ereditate da Adwaita/libadwaita. Noterete una maggior prevalenza del colore arancione nell’interfaccia utente di sistema. Il team di progettazione di Ubuntu ha deciso di rimuovere la maggior parte degli accenti viola precedentemente utilizzati. Inoltre, i controlli delle finestre sono più distanti e organizzati in cerchi. Oltre ad avere un tema chiaro, potete decidere di passare alla dark mode attraverso la sezione Appearance. Troverete una manciata di opzioni per personalizzare l’aspetto e il funzionamento dell’Ubuntu Dock disponibili nella sezione Impostazioni > Aspetto.
Il rinnovato pannello Aspetto è il punto in cui potete accedere a una delle funzionalità principali di Ubuntu 22.04: i colori dell’accento dell’interfaccia utente. Il colore dell’accento non solo cambia la shell GNOME e il tema GTK bensì anche alcune icone che si modificano automaticamente in base alla vostra scelta. Sono disponibili dieci colori, potete provarli finché non avete trovato il vostro preferito.
Per gentile concessione di GNOME 42, Ubuntu 22.04 include una nuovo tool per catturare screenshot. Con un rapido print screen
potete acquisire schermate e registrazioni. Altre modifiche visive includono un nuovo sfondo predefinito, una serie di immagini di sfondo selezionate dai membri del forum di Ubuntu e un paio di icone aggiornate, inclusa l’icona del file manager Nautilus.
Il parco app è stato aggiornato e, tra le altre cose, ora include LibreOffice 7.3, Thunderbird 91 e l’ultima versione di Mozilla Firefox (che ora è uno Snap). Preinstallate troviamo anche il music player Rhythmbox, il video player Totem, il desktop client Remmina, e Thunderbird.
L’esperienza con Firefox Snap non è eccezionale ma nemmeno così male. Sappiate che l’applicazione è lenta se la lanciate dopo l’accensione del PC, in questo scenario la versione .deb
è più veloce. Dopodiché nell’uso normale è difficile notare differenze concrete. Un piccolo numero di app aggiunte in GNOME 42 è disponibile nel repository, inclusi i nuovi strumenti Console (che rimpiazza GNOME Terminal) e Text Editor (che sostituisce Gedit).
Nautilus 42 introduce una buona serie di modifiche, tra cui una barra del percorso rinnovata, un popover per rinominare i file e il supporto per la creazione e l’estrazione di archivi .zip
protetti da password.
Lo Snap Store, che è un fork di GNOME Software 41, anche se privo della maggior parte dei suoi vantaggi, è ancora la soluzione predefinita per l’installazione di app e software. Si presenta con una home page leggermente ridisegnata e un ridimensionamento “mobile-friendly”. In ogni caso l’esperienza offerta da GNOME Software è più completa e appagante, per ottenerlo vi basta dare apt install gnome-software
.
Importante per i gamer e più in generale per chi ha hardware next-gen la presenza di Mesa 22. Abbiamo poi:
Dal punto di vista dell’interfaccia utente, dell’esperienza utente e dell’estetica secondo me ci siamo. Forse manca un po’ di armonia nei colori delle icone e la coerenza tra le dimensioni delle app e degli elementi del sistema operativo a volte è così così, ma sicuramente c’è un miglioramento. La navigazione e la fluidità, in generale, sono ottime. Ubuntu è facile da usare, soprattutto in termini di installazione di nuove app tramite snap/repo/etc. Mettendo tutto insieme è decisamente un’ottima release e un bel passo avanti!
Potete scaricare l’immagine .iso
ufficiale a 64-bit cliccando qui. L’immagine .iso
pesa più del solito: ben 3.44 GB. Non dimenticatevi che è anche possibile aggiornare a Ubuntu 22.04. Per farlo potete attendere la notifica di sistema: l’aggiornamento diretto garantirà la permanenza di file, app e impostazioni in modo da non dover ricominciare da capo. Gli aggiornamenti da Ubuntu 21.10 saranno abilitati nei prossimi giorni. Invece se siete su Ubuntu 20.04 dovrete attendere l’estate, in occasione dell’arrivo della prima point release oppure forzare la mano dando questo comando: sudo do-release-upgrade -d
.
P.S: Ovviamente sono state rilasciate anche le immagini ufficiali di tutti i flavour di Ubuntu: Kubuntu, Lubuntu, Ubuntu Budgie, UbuntuKylin, Ubuntu MATE, Ubuntu Studio e Xubuntu.
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Joe Wreford ha nascosto una piccola Raspberry Pi Zero 2W in un apposito contenitore per creare un Desktop Weather Kit. Cliccando un pulsante è possibile richiedere le previsioni del tempo fino a 48h di distanza.
L’idea è tanto simpatica quanto geniale. Joe ritiene che questo progetto sia perfetto per i maker di tutte le età. Il Weather Kit è composto da cinque parti stampate in 3D che si incastrano facilmente, il codice è semplice e il cablaggio è minimo.
Uno script Python in esecuzione su Raspberry Pi Zero W estrae i dati meteorologici per la posizione impostata e aggiorna automaticamente il display per mostrare le previsioni. Le previsioni del tempo vengono fatte grazie all’API gratuita di OpenWeatherMap, che consente di ottenere dati specifici basati sulla posizione.
Due motori servo, collegati alla Raspberry Pi Zero, alimentano le “lancette del tempo”, che si muovono in base ai dati meteorologici recuperati dallo script. Il pulsante consente di far scorrere le lancette per richiedere le condizioni metereologiche attuali oppure le previsioni per le prossime 3 ore, 6 ore, 12 ore, 24 ore o 48 ore.
A seguire una lista dei componenti necessari per realizzare il progetto:
Le parti da stampare sono disponibili su GitHub. Se non avete possibilità di stampare in 3D potete acquistare, in diverse colorazioni, il kit già pronto, ovviamente non è inclusa la Raspberry. Il prezzo del kit è di 26.00£. Joe ha scritto una guida dettagliatissima su come procedere per arrivare al risultato finale: la trovate qui.
Insomma un’idea carina che potete copiare o da cui potete prendere spunto per realizzare qualcosa di diverso: l’unico limite è la vostra fantasia!
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Podman 4.0 è stato appena rilasciato e introduce una riscrittura completa dello stack di rete, ora basato su Netavark e Aardvark, che funzionerà parallelamente allo stack CNI (Container Networking Interface) esistente.
Netavark è uno strumento scritto in Rust per la configurazione della rete con i container Linux, funge da sostituto dei plugin CNI (containernetworking-plugins
su Fedora). Aardvark-dns è ora il server DNS per i container. Insieme al nuovo stack arrivano anche le modifiche al packaging della distribuzione.
Podman ha utilizzato CNI per gestire le reti di container sin dalla sua prima versione (disponibile dal 2018). Tuttavia, a causa della crescente complessità degli ambienti e delle reti dei container, le esigenze primarie di Podman e di CNI hanno iniziato a divergere.
Podman mira a fornire uno strumento di gestione dei container a nodo singolo mentre CNI è stato creato per servire Kubernetes, quindi è intrinsecamente basato su cluster. Podman ha bisogno di nuove funzionalità, come il supporto per i nomi dei container e gli alias nelle ricerche DNS (Domain Name System), che non sono molto utili per CNI. Il progetto CNI invece, sta valutando la possibilità di deprecare la funzionalità su cui Podman fa affidamento perché non è necessaria per supportare Kubernetes.
Podman 4.0 offre numerosi vantaggi rispetto allo stack CNI (Container Networking Interface) esistente, tra cui:
Podman v4 è disponibile come pacchetto Fedora ufficiale su Fedora 36 e Rawhide. Sia Netavark che Aardvark-dns sono disponibili come pacchetti Fedora ufficiali su Fedora 35 e versioni successive e formano lo stack di rete predefinito per le nuove installazioni di Podman 4.0.
Su Fedora 36 (e versioni successive), le nuove installazioni di Podman v4 installeranno automaticamente Aardvark-dns insieme a Netavark. Per installare Podman v4 è sufficiente dare il seguente comando:
sudo dnf install podman
mentre per l’aggiornamento è sufficiente dare
sudo dnf update podman
Dopo l’installazione, se volete che i vostri container utilizzino Netavark, dovete settare network_backend = "netavark"
nella sezione [network]
del file containers.conf
, solitamente situato in /usr/share/containers/containers.conf
.
Per ulteriori dettagli su Podman potete consultare il sito ufficiale.
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Lo scorso novembre vi ho parlato dell’arrivo della storica versione 1.0.0 di LXQt, risultato di ben 8 anni di sviluppi. Oggi possiamo mettere le mani su un primo aggiornamento, LXQt 1.1.0.
LXQt nasce dalla collaborazione fra i team di LXDE, Razor-qt e Maui con l’obiettivo di offrire agli utenti un ambiente allo stesso tempo leggero e potente scritto utilizzando le librerie Qt. LXQt 1.0.0 ha dettato il salto verso Qt 5.15, ultima versione LTS disponibile. Gli sviluppatori stanno già lavorando per il salto verso Qt 6.0 ma chiaramente non sono ancora pronti.
La versione 1.1.0 è un aggiornamento importante che introduce numerosi miglioramenti. Da segnalare perfezionamenti al file manager, aggiornamenti per il tema e per i pannelli. Il File Manager ora garantisce il supporto per l’interfaccia DBus che dovrebbe funzionare bene con app come Firefox e Chromium. Il nuovo componente xdg-desktop-portal-lxqt dovrebbe migliorare il comportamento delle app non-Qt con la finestra di dialogo dei file.
Sono state apportate diverse correzioni ai temi e ne è stato introdotto uno nuovo, chiamato Valendas, insieme a diversi nuovi sfondi. Per consentire agli utenti di modificare ulteriormente gli stili dei widget, sono state rese disponibili tavolozze Qt che garantiscono una miglior possibilità di personalizzazione in termini di aspetto.
Anche il pannello LXQt ha ricevuto piccole modifiche, come la compressione delle icone della tray icon all’interno dello Status Notifier quando il plug-in della barra delle applicazioni è abilitato. La finestra di configurazione del pannello è stata suddivisa in 3 sezioni per semplificarne la navigazione.
Abbiamo poi:
Se volete maggiori dettagli su tutte le modifiche introdotte potete fare riferimento al changelog ufficiale. Per quanto concerne l’aggiornamento dovete attendere che i mantainer lo pacchettizzino e lo distribuiscano. In alternativa trovate il codice sorgente sulla pagina GitHub dedicata al progetto.
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Se possedete una Raspberry Pi, o un altro dei tanti SBC in commercio, avete una miriade di possibilità per quanto riguarda la scelta del sistema operativo da utilizzare. Tra le tante soluzioni, non vi ho mai parlato di Diet Pi, che proprio in questi giorni ha annunciato la release v8.3 introducendo correzioni, aggiornamenti e nuove opzioni. Mi sono preso qualche giorno per provarlo e devo dire che è un’ottima alternativa: vediamo i pro e i contro.
#DietPi v8.3 has been released.
We implemented initial container system support.#PHP Composer has been added as software option.#motionEye is now available on Bullseye systems.
Multiple NFS exports of the same server can be mounted, and more: https://t.co/gV1uqU08QA— DietPi (@DietPi_) April 3, 2022
Come suggerisce il nome, Diet Pi è un sistema operativo leggero con un basso impatto sul processore e sulla RAM del vostro SBC. Sotto il cofano il motore è quello di Debian Bullseye, che però è stato altamente ottimizzato per minimizzare l’uso delle risorse.
Diet Pi utilizza il terminal menu system Whiptail per gestire l’installazione del software e la manutenzione del sistema. A bordo troviamo diverse app popolari fortemente ottimizzate: Kodi media center, Plex, RPi Cam Control, il server Web Apache e VirtualHere per la condivisione di dispositivi USB su una rete. Inoltre, c’è un processo di installazione automatizzato, un sistema di backup completo semplice da utilizzare e aggiornamenti automatici in stile Debian. DietPi è di fatto sprovvisto di interfaccia grafica, il terminale offre diversi menu che vi permetteranno di utilizzare la board secondo i vostri scopi nel modo più semplice possibile.
Diet Pi fornisce benchmark e confronti con altri popolari sistemi operativi per SBC, che mostrano un utilizzo della RAM inferiore del 58% rispetto al sistema operativo Raspberry Pi OS, con un utilizzo del disco inferiore del 41%. L’immagine non compressa per l’installazione occupa decisamente meno spazio. Contro Armbian su Odroid C4, la riduzione nell’utilizzo della RAM è addirittura del 65%. L’unico sistema operativo che riesce a far meglio di Diet Pi è proprio Debian su un PC X86.
Le board compatibili includono Raspberry Pi 4, su cui opera come sistema operativo a 64 bit, insieme a schede di Odroid, Pine64, Radxa, Allo, Asus, NanoPi e tante altre. Trovate un elenco completo dei modelli compatibili, circa una quarantina, sul sito ufficiale. Se lo desiderate, potete lanciare DietPi anche su un PC o inVM, utilizzando le immagini .iso apposite. La nuova versione offre anche un supporto iniziale per i container, sebbene le app containerizzate debbano utilizzare l’interfaccia di rete host. Il team Diet Pi è fortemente attivo su Github, dove potete trovare il codice sorgente, la wiki, le pull requests e tanto altro.
L’avrete capito: DietPi è un OS per maker e geek che vogliono utilizzare la propria board per scopi specifici e che sanno come districarsi di fronte a eventuali problemi. Provatelo!
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Ciao ragazzi! Se siete appassionati di GNU/Linux e volete parlare di queste tematiche, confrontarvi, discutere e perché no dire la vostra senza timori reverenziali avete una possibilità unica. Negli ultimi anni LFFL è cresciuto costantemente e vogliamo che questa crescita continui. Per contribuire attivamente alla crescita del sito, proponendo articoli, news, guide, editoriali, approfondimenti ed altri contenuti originali abbiamo bisogno di voi.
Per poter garantire un servizio d’informazione migliore nelle prossime settimane andremo ad aumentare lo staff di LFFL, scegliendo tra i candidati una (o più) persone in grado di rispettare i seguenti requisiti:
Anche se non avete mai scritto per un blog non preoccupatevi! Se avete passione e voglia di dare il vostro contributo sarà un piacere aiutarvi a conoscere la piattaforma WordPress, imparerete in fretta!
Cosa offriamo:
Tutti i lettori interessati potranno inviare la propria candidatura al mio indirizzo e-mail, “matteo@lffl.org”, senza virgolette in cui è necessario indicare:
Richiediamo, inoltre, uno o due articoli di prova da allegare alla mail riguardanti tematiche a vostra scelta (news, approfondimenti, opinioni, presentazioni di un programma o di un’estensione, fate voi!). Per qualsiasi dubbio o richiesta di chiarimenti potrete utilizzare la sezione commenti qui sotto dove riceverete una celere risposta.
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I bug sono l’ossessione degli sviluppatori di software. Quando si parla di bug, in italiano si usano come sinonimi i termini “vulnerabilità” o “buco” o “anomalia”, si fa riferimento a un errore di funzionamento di un programma. Un programma contenente un gran numero di bachi che interferiscono con la sua funzionalità è detto in gergo buggato (buggy), mentre l’atto di correzione dagli errori è detto bugfixing. Un bug è generalmente un errore logico che può provocare il crash di un programma e in certi casi può essere sfruttato da cybercriminali che portano avanti attacchi informatici.
In inglese la parola bug indica un piccolo insetto. La correlazione tra buco informatico e insetto risale al 1947 quando, all’università di Harvard, la tenente Crace Hopper (che ebbe un ruolo primario nella progettazione del linguaggio COBOL) ed il suo gruppo erano alla ricerca della causa di un malfunzionamento nel computer Mark II. Il problema era dovuto a una falena che si era incastrata fra i relè del calcolatore, impedendone il corretto funzionamento. Dopo aver rimosso la falena e ripristinato il corretto funzionamento della macchina nel registro del computer venne aggiunta l’annotazione “First actual case of bug being found”. Probabilmente non si immaginavano di essere stati i precursori di un concetto che oggi viene usato quotidianamente nell’IT.
La crescita del mondo IT è stata impetuosa negli ultimi trent’anni. Il software è ormai ovunque: PC, TV, Smartphone, Automobili, etc. Ci sono una miriade di linguaggi, framework, metodologie di sviluppo e tutte le aziende vogliono informatizzarsi, anche quelle che con il mondo dell’informatica c’entrano poco o nulla. Di conseguenza è cresciuto il parco software da manutenere. Più software significa anche più bug: spesso il codice è talmente complesso, e i possibili scenari di utilizzo sono talmente numerosi che a volta è impossibile (anche per questioni di tempo, risorse a disposizione e costi di sviluppo) testare ogni situazione che si può potenzialmente verificare. Basti pensare al mondo dei videogiochi, uno dei più colpiti dai bug, in cui il giocatore può muoversi liberamente, compiendo un numero potenzialmente infinito di azioni in ordine casuale.
Rincorrere i bug e sistemarli ha un costo e richiede tempo. Il tempo necessario per chiudere un bug dipende da svariati fattori: dalla complessità del software e dal numero di sviluppatori che sono dedicati alla risoluzione. Il costo è relativamente basso se il bug viene scovato nelle prime fasi di sviluppo mentre cresce esponenzialmente se il software è in fase di progettazione o addirittura in produzione. Un esempio molto recente è quello di Log4shell e Log4j che è stato definito il “bug dell’anno” nel 2021. A questo proposito mi sembra calzante la frase di David Parnas, creatore del concetto di information hiding:
Un pessimo programmatore può creare due posti di lavoro all’anno.
Per innalzare la qualità del proprio software e quindi soddisfare gli elevati standard di privacy e sicurezza che gli utenti si aspettano generalmente le aziende seguono diverse strade. Innanzitutto si cerca di eseguire suite di test puntuali e rigorosi in modo da effettuare una prima scrematura. In seguito si può optare per un audit. Un audit informatico è una revisione condotta da esperti esterni all’azienda che può riguardare le reti informatiche di una società, la tecnologia, il software, nonché le procedure in atto in relazione all’uso delle risorse IT.
Negli ultimi anni si sta facendo strada con forza una terza via: il bug bounty program. Un bug bounty program è un accordo, solitamente proposto da grosse aziende (Google, Microsoft, Apple, etc) dell’IT, grazie al quale un individuo può ricevere riconoscimenti e ricompense in denaro per la segnalazione di bug, exploit o vulnerabilità. Un bug bounty può essere visto come una specie di sfida: chi vi si cimenta può ricevere riconoscimenti e ricompense in denaro per la segnalazione exploit e vulnerabilità. I premi variano da azienda ad azienda e dalla gravità della vulnerabilità scoperta, ma in linea di massima si passa da poche centinaia di dollari a decine di migliaia. Facebook, ad esempio, ha pagato circa 5 milioni di dollari da quando ha avviato il suo programma di ricompense nel 2011. Anche l’Unione Europea ha recentemente deciso di offrire importanti ricompense per chi volesse cimentarsi nel lavoro di bug-hunting sul parco software open source.
Con la nascita del concetto di Bug Bounty sono nate diverse piattaforme che fungono da aggregatori. Tra i portali più famosi e utilizzati abbiamo Bugcrowd e HackerOne ai quali si appoggiano numerose aziende, sia di piccole che grandi dimensioni. Questi portali, attraverso le aziende che vi partecipano, erogano diversi milioni di euro di ricompense ogni anno. Ad ogni tipologia di bug è attribuita una priorità e al crescere della priorità cresce la ricompensa: qui trovate un elenco delle ricompense più importanti. Ad esempio, il programma bug-bounty di ExpressVPN, una delle aziende leader del settore, offre 100.000 dollari alla prima persona che riuscirà a scovare un bug sulla tecnologia server VPN, TrustedServer. La presenza di un’azienda su piattaforme come BugCrowd è un forte segnale di impegno e serietà: dimostra la volontà di voler migliorare il proprio prodotto. Inoltre, questi programmi fanno risparmiare denaro. Una violazione dei dati può portare a danni per svariati milioni di dollari, per non parlare del danno reputazionale.
Piattaforme come BugCrowd hanno dato vita anche a una nuova professione che chiunque sia appassionato a queste tematiche può intraprendere: il bug hunter. Il lavoro del bug hunter è letteralmente andare “alla caccia di bug” all’interno di siti, domini, applicazioni (web e mobile), programmi appartenenti ad aziende, compagnie e istituzioni.
E voi? Siete pronti a cacciare gli insetti?
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L'articolo Caccia ai bug: sempre più aziende ricorrono ai Bug Bounty Program sembra essere il primo su Linux Freedom.
Lambda Labs ha annunciato un nuovo laptop interamente basato su Linux. Si chiama Tensorbook ed è stato prodotto in collaborazione con gli ingegneri di Razer. Questo PC nasce per soddisfare le esigenze di professionisti nel campo del machine learning (ML) e dell’intelligenza artificiale (IA).
Prima di parlarvi del notebook voglio dire due parole su Lambda. L’azienda, poco nota al grande pubblico, nasce nel 2012 e diventa rapidamente un importante fornitore di infrastrutture di deep learning per i principali team di ricerca del mondo (dal MIT al Dipartimento della Difesa USA). Questi team utilizzano i cluster di GPU, i server, le workstation e le istanze cloud di Lambda per addestrare reti neurali con molteplici scopi: studi per il rilevamento del cancro, studi nell’ambito farmaceutico, auto a guida autonoma, etc.
Il Lambda Tensorbook si presenta con un display LCD da 15.6”, una risoluzione pari a 2.560 x 1.440 pixel, un aspect ratio da 16:9 e 165 Hz di refresh rate. Il laptop ha uno chassis in alluminio e dimensioni nella media: 116,9 x 355 x 235 mm per 2,1 kg. Ben visibile sullo chassis c’è il logo con la scritta Razer x Lambda: non potete dimenticarvi della collaborazione tra le due aziende. Insomma, dal punto di vista estetico c’è poco da eccepire.
Il corpo macchina ospita diverse porte, tra cui un jack da 3.5 mm per cuffie e microfono, uno slot per le schede di memoria SD, una porta HDMI 2.1, tre USB 3.2 2a gen Type-A e due USB Type-C con Thunderbolt 4 una delle quali consente di alimentare la macchina.
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Vi abbiamo già parlato più volte, qui su LFFL, dei prodotti Star Labs, una delle poche aziende a produrre computer dedicati esclusivamente al mondo del pinguino. L’azienda, che ha sede nel Regno Unito, ha presentato in questi giorni il Byte Mk I. Si tratta del suo primo mini PC basato su Linux avente una configurazione completamente AMD-based.
Byte Mk I è dotato di un processore Octa-Core AMD Ryzen 7 5800U con grafica AMD Radeon e velocità di clock fino a 4,4 GHz, supporta fino a 64 GB di memoria operante a 3200 MHz e fino a 6 TB di storage SSD. La capacità della memoria RAM e del disco SSD sono configurabili, mentre non potete scegliere un altro processore al momento dell’ordine.
Ciò che rende Byte Mk I estremamente versatile sono le numerose porte con cui viene fornito per consentirvi di collegare tutto ciò di cui avete bisogno. È dotato di due porte USB 2.0, due porte USB 3.0, due porte HDMI, una porta Ethernet Gigabit RJ45, una porta USB-C per alimentazione ed espansione, un jack audio combinato per input e output e uno slot Micro SD.
Il Byte Mk I viene fornito con una distribuzione GNU/Linux preinstallata. Potete scegliere tra Ubuntu 20.04.3 LTS (o un flavour come Kubuntu, Xubuntu o Ubuntu MATE), elementary OS 6.1, Linux Mint 20.3 (Cinnamon, Xfce o MATE), Manjaro Linux 21.0 (Xfce, GNOME o KDE Plasma), MX Linux 21.1 (Xfce, KDE Plasma o Fluxbox), Zorin OS 16.1 (Core, Lite o Pro).
Come tutti i computer di Star Labs, il mini PC Byte Mk I supporta sia il firmware open source Coreboot che la soluzione proprietaria di American Megatrends (AMI), Aptio V. Il computer viene fornito con entrambi preinstallati, quindi è possibile passare dall’uno all’altro in qualsiasi momento attraverso la schermata di avvio.
Cos’è Coreboot?
Per chi non lo sapesse, Coreboot è un’iniziativa supportata dalla Free Software Foundation (FSF) che mira alla realizzazione di un BIOS libero, in grado di sostituire le attuali implementazioni proprietarie. Si tratta di un progetto volto a sostituire il firmware presente nella maggior parte dei computer per rimpiazzarlo con un prodotto più leggero e veloce. Coreboot non può essere propriamente definito un BIOS in quanto un BIOS inizializza l’hardware e fornisce delle chiamate al sistema in esecuzione. Coreboot inizializza solamente l’hardware.
Vantaggi & Svantaggi:
Coreboot significa anche maggior controllo sul proprio sistema: si tratta di un progetto open source sottoposto ad audit. Promette una velocità superiore perché fa “il minimo indispensabile”. Meno codice, meno ritardi.
Il firmware Coreboot rende il mini PC estremamente leggero ed efficiente all’avvio e apre le porta a numerose configurazioni hardware tramite l’utility Coreboot Configurator, creata da Star Labs. Inoltre, il Byte Mk I riceve gli aggiornamenti del firmware per BIOS, Embedded Controller e SSD da LVFS (Linux Vendor Firmware Service).
I computer progettati per il software open source necessitano di garanzie open. La nostra garanzia non viene invalidata se decidete di smontare il mini-computer, sostituire parti, installare un aggiornamento, utilizzare qualsiasi sistema operativo o firmware.
queste le parole dell’azienda.
Sul sito ufficiale di Star Labs potete configurare e preordinare il Byte Mk I. Il prezzo non è contenuto: la versione base parte da 793€ e ha 8 GB di RAM e 240 GB di storage. Una configurazione un po’ più spinta, con 16GB di RAM e 480GB di SSD costa 915€. Tutti gli ordini verranno spediti a fine giugno 2022.
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L'articolo Byte Mk I: Star Labs svela il primo mini PC Linux con Coreboot sembra essere il primo su Linux Freedom.
Clement Lefebvre ha pubblicato sul blog ufficiale di Linux Mint il consueto post in cui aggiorna la community circa il lavoro fatto dagli sviluppatori nelle ultime settimane. La principale novità è l’annuncio di Linux Mint 21 “Vanessa”: arriverà a Natale 2021 e sarà basato su Ubuntu 22.04 LTS. Sarà distribuito nelle tre edizioni classiche: Cinnamon, MATE e Xfce. Per ora però non abbiamo ulteriori novità a riguardo.
Molti utenti hanno segnalato un’eccessiva lentezza nel download del software dai repository. In effetti, Lefebvre ha confermato che i server sono sovraccaricati. In attesa di un ampliamento dell’infrastruttura e di un incremento della banda il consiglio è quello di modificare i mirror da “Software Source” -> “Main repository”, selezionando quello più veloce a disposizione.
Strano che non ci sia un meccanismo automatico per coordinare il carico tra il parco macchine suddividendo gli utenti sui vari mirror…
Ovviamente anche con questo nuovo tool di upgrade gli aggiornamenti più importanti possono andare storti e richiedere più tempo per il download e l”installazione, ma sicuramente l’esperienza utente sarà semplificata. Lo strumento verrà usato già per l’aggiornamento da LMDE 4 a LMDE 5 e poi per il passaggio da Linux Mint 20.3 a Linux Mint 21.
Infine alcune novità riguardanti Warpinator. Per chi non lo sapesse, si tratta di un tool realizzato dal team di sviluppo di Linux Mint, utilizzabile per il trasferimento di file tra computer collegati alla stessa rete LAN. Nato come xApp è stato poi distribuito come Flatpak su Flathub e poi portato su Android per il trasferimento di file tra smartphone e laptop. Ora il tool è disponibile anche per Windows e permette addirittura di trasferire file verso la Steam Deck. Presto dovrebbe arrivare una beta per iOS!
È divertente vedere come Warpinator sia diventato una soluzione per qualcosa che non avevamo mai immaginato.
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