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FORMAZIONE = APROMASTORE ACADEMY 7 Feb 2019 11:50 PM (6 years ago)

Chi segue Total-Photoshop non potrà non conoscere gli amici Roberto e Massimo, “volti pubblici” di Apromastore (www.apromastore.eu) società con sede a Rho (MI) ma attiva su tutto il territorio nazionale.
Sebbene il core business dell’azienda sia l’importazione e commercializzazione di prodotti ed attrezzature per i fotografi, è innegabile che nel DNA di Apromastore sia altresì scritta una forte predisposizione alla formazione.
Chiara testimonianza di ciò, può essere trovata nelle centinaia di articoli del magazine e di videotutorial realizzati per Total-Photoshop, oltre alle numerose sessioni di formazione tenute da Massimo e Roberto presso Fotoclub, negozi ed associazioni su temi quali l’illuminazione, la ripresa, la gestione del colore e la stampa fine art.
Per proseguire in modo ancor più organico e strutturato su questa strada, imboccata sin dagli esordi, Apromastore ha recentemente attivato Apromastore Academy, un programma di incontri  di formazione che avranno luogo presso un’apposita sala corsi situata a Busto Arsizio (VA), in centro città.
Il programma, ampio ed articolato, è costantemente aggiornato al link www.apromastore.eu/academy dove è anche possibile iscriversi alla mailing list eventi dedicata.
Per garantire la copertura di un’ampia rosa di temi ed argomenti, sono state attivate collaborazioni con numerosi professionisti e docenti che saranno in grado di completare la storica offerta formativa di Apromastore.
Tra gli appuntamenti imminenti del già ricco calendario, segnaliamo il corso “Introduzione al videomaking” che vedrà impegnato come relatore il nostro Guido Bedont.
Tuttavia Massimo e Roberto ci anticipano che la nuova sede bustocca di Apromastore non si limiterà ad ospitare training e workshop.
Infatti, per poter essere riconosciuto non come una anonima sala corsi ma come un vero e proprio punto di condivisione di una importante passione, nel futuro del nuovo spazio ci saranno anche mostre ed incontri con gli autori.

 

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Carte e stampanti: la scelta giusta nell’era del digitale. 23 Jan 2019 7:14 AM (6 years ago)

C’era una volta la camera oscura: ingranditore, pinze, bacinelle e… ore di trattative con i famigliari per poterci impossessare del bagno e trasformarlo nel nostro laboratorio privato.
La tecnologia odierna ci ha semplificato parecchio la vita: sono numerose le stampanti che – senza bisogno di chiudersi in un locale buio! – possono realizzare magnifiche stampe delle nostre migliori fotografie.

Ma per quanto importantissima, questa non è l’unica miglioria concessa dalle nuove tecniche: se una volta la scelta supporto era limitata a “carta lucida” o “carta opaca”, oggi abbiamo solamente l’imbarazzo di scegliere da una gamma pressoché infinita.
Cerchiamo allora di capire quali sono i tipi di carta e come sceglierli.
Dobbiamo innanzitutto dire che tutte le carte per la stampa inkjet – anche quelle con un aspetto simile alla “carta comune” – hanno una finitura superficiale (coating) adatta a ricevere l’inchiostro mantenendo la nitidezza della stampa. L’inchiostro stampato su carte non pensate per la stampa inkjet si spanderà nelle fibre, dando origine a stampe “sbavate”.
Le carte possono essere catalogate secondo diversi parametri, quali aspetto, struttura, peso, finitura, ma proviamo innanzitutto a suddividerle in due grandi famiglie.

Una prima macrocategoria è quella delle carte “fotografiche”. Si tratta di carte messe a punto a partire dagli anni ’90 il cui strato ricevente dell’inchiostro può essere di polimeri organici (carte “swellable”, compatibili con inchiostri a base acqua) o microceramico (“nanoporous” compatibile anche con gli inchiostri a pigmenti e ad asciugatura immediata). La loro finitura superficiale può essere lucida, semilucida, perla… esattamente come quella delle carte offerte dai laboratori tradizionali, delle quali riproducono fedelmente l’aspetto. L’offerta dei produttori è veramente ampia e queste carte sono disponibili in pesi che vanno dai 160 ai 300 e più grammi per metro quadro. Inutile dire che i cartoncini sopra i 260-270 g/mq sono quelli che conferiscono una piacevolezza anche tattile alle nostre fotografie. Possono poi avere una struttura “politenata” (resin coated o RC in inglese), dove la base di carta è protetta da due strati plastici, o “baritata”, dove la base di carta, realizzata con materie prime di alta qualità, è trattata con solfato di bario per ottenere una tonalità perfettamente bianca.
Questi supporti mantengono un’ottima stabilità dimensionale anche quando vengono stampati con elevata quantità d’inchiostro: non si deformano e non si ondulano.
Una seconda macrocategoria è quella delle carte “matt” o opache. Anch’esse hanno un apposito strato ricevente dell’inchiostro, ma il loro aspetto è sempre tendenzialmente opaco: più simile alle carte da disegno che a quelle fotografiche. Possono essere realizzate con materiali più o meno pregiati: dalla comune cellulosa, all’alfacellulosa sino alle fibre di cotone, bambù o gelso per i supporti dedicati al cosiddetto fine-art.
La qualità del materiale usato per la base influisce sia sulla qualità della stampa che sulla sua longevità: le carte più prestigiose sono solitamente realizzate in modo da essere totalmente neutre in modo da non far degradare la colorazione degli inchiostri.
Come per le carte fotografiche, il peso gioca un importante ruolo nella piacevolezza non tanto visiva quanto tattile delle nostre stampe. Un cartoncino da 300-320g/mq sarà anche piacevolmente “palpabile”. Un’altra importante caratteristica che, insieme al peso, rende unica ogni carta di questa famiglia è la finitura superficiale, nota con il nome di “texture”: difficile descriverla a parole. Si passa da carte opache, ma lisce come una buccia di pesca a carte con una goffratura evidente in grado di riprodurre l’aspetto di un muro o di un acquarello.


Proprio perchè le carte non si possono raccontare e a parole la scelta può essere ardua, i principali produttori come la tedesca Hahnemühle e l’americana Moab realizzano delle apposite confezioni di test, i sample pack.
Questi kit contengono uno o due fogli di ciascuna delle numerose carte offerte dal brand al fine di poter scegliere, toccare con mano, quella più adatta alle nostre esigenze tecniche ed artistiche.

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Profilo ICC della stampante: come crearlo. 23 Nov 2018 12:32 AM (6 years ago)

Ho già illustrato, in un precedente articolo come l’impiego del profilo ICC in fase di stampa possa garantire risultati migliori ma, soprattutto, prevedibili.

Disporre del profilo ICC dell’accoppiata carta/stampante ci consente infatti di simulare, su un monitor calibrato e di buona qualità, quali saranno i risultati in stampa, risparmiando il tempo ed i costi necessari per realizzare numerosi provini.

I driver delle stampanti di qualità, così come del resto i siti dei principali produttori di carte fine art, mettono a disposizione degli utenti i profili dei più diffusi supporti di stampa.
Si tratta comunque di profili statistici, in gergo noti come “canned”, ovvero realizzati per una stampante ed una carta “come” le nostre, ma non esattamente “le” nostre e pertanto suscettibili di tolleranze più o meno ampie.

Vi possono poi essere delle situazioni in cui la carta su cui desideriamo stampare non è mai stata profilata con il nostro modello di stampante.
In questi casi non resta che realizzare un profilo personalizzato con un apposito strumento, come i1Studio di X-Rite: una soluzione integrata hardware+software di semplice utilizzo, dedicata alla calibrazione di monitor, stampanti, videoproiettori, fotocamere e device iOs.

 

i1Studio si basa su uno spettrofotometro, ovvero un sensore in grado di leggere il colore sia emesso dai display che stampato su carta, supportato da un software potente con una guida passo passo.

Nel flusso di lavoro dedicato alla calibrazione delle stampanti, i1Studio ci guida a stampare delle pagine di prova che consistono in una serie di caselle colorate.

 

Dopo qualche minuto di attesa per consentirne l’asciugatura, verremo guidati a passare lo strumento sulle caselle stampate per leggerne la tinta.
Il software provvederà quindi a confrontare i valori inviati alla stampante con quelli rilevati dallo spettrofotometro al fine di descrivere il comportamento della nostra accoppiata carta/stampante per mezzo di un profilo ICC.

 

Tra le funzioni avanzate di i1Studio anche la possibilità di realizzare dei profili ottimizzati per la stampa del bianco e nero: non dimentichiamo infatti che tutte le più recenti stampanti ricorrono agli inchiostri a colori anche per la stampa di immagini monocromatiche.
Una volta salvato il profilo appena realizzato, potremo così utilizzarlo come visto in questo articolo.

 

Qui puoi trovare maggiori informazioni sul prodotto.

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Stampa di qualità: piccoli accorgimenti. 13 Nov 2018 12:09 AM (6 years ago)

Il consolidamento e la diffusione della tecnologia fotografica digitale ha portato alla nascita di nuove esigenze e di nuovi strumenti per la stampa ad esse dedicati. Se una volta, nei negozi di fotografia più forniti, faceva bella mostra di sé lo scaffale dedicato alla camera oscura con ingranditori, bacinelle, carte e chimici, oggi è sempre più facile trovare in esposizione stampanti, carte inkjet e cartucce: i componenti della moderna camera chiara!

Pur non prendendo in considerazione le stampanti da poche decine di euro, adatte solo ad un uso generico, dobbiamo rilevare che anche le unità di fascia alta, e pertanto adatte alla stampa fotografica di qualità, sono oramai disponibili a prezzi assolutamente ragionevoli.

Due i possibili deterrenti, peraltro fra loro in relazione: l’imprevedibilità dei risultati ed il costo degli inchiostri.

Partendo dal presupposto di disporre di una stampante di qualità e di un software per la gestione delle immagini, come Photoshop o Lightroom, una efficace soluzione al primo di tali problemi può essere trovata, con la massima semplicità, nel corretto settaggio dei parametri di stampa.
Se per la riproduzione di un documento di testo o di una pagina web, infatti, può essere sufficiente premere il pulsante “stampa”, senza preoccuparsi di altro, così non è per la realizzazione di una fotografia.

Due le cose a cui porre attenzione.

 

Le impostazioni del driver
Richiamando la finestra di stampa di un qualsiasi programma, fosse anche Word od Excel, oltre a parametri quali formato pagina e numero copie ci viene proposta la possibilità di accedere alle impostazioni avanzate, definite “Proprietà stampante” o “Impostazioni stampante”.

 

 

Tra queste, due quelle per noi fondamentali. La scelta della risoluzione di stampa e la selezione del corretto supporto. Se nel primo caso la scelta è intuitiva, a valore più alto corrisponde miglior qualità, la seconda non è da sottovalutare. Ognuna delle varie possibilità, infatti, definisce con precisione quanto inchiostro debba essere “spruzzato” dalla stampante in funzione del tipo di carta impiegato e, in alcuni casi, anche quali degli inchiostri debbano entrare in gioco e quali restare esclusi. Stampanti con la doppia cartuccia del nero, solitamente definite “nero foto” e “nero matt”, utilizzeranno la prima per la stampa su carte fotografiche e la seconda per la stampa su carte opache e fine art.

 

La stampa con il profilo ICC

 

La scelta del corretto tipo di carta all’interno del driver, tuttavia, è un buon inizio ma non è tutto. Per cominciare, i valori disponibili nel menù sono relativi solamente ai tipi di supporto commercializzati dallo stesso produttore della stampante, e non è detto che siano quelli in uso. Inoltre, pur garantendo la corretta inchiostrazione, non ci mettono al riparo da interpretazioni del nostro file eseguite dagli automatismi del driver. Affinché si possa avere costanza e prevedibilità dei risultati, pertanto, è necessario prendere controllo del colore abbandonando l’impostazione “Gestione colore effettuata dalla stampante” a favore di “Gestione colore effettuata da Photoshop”.

Così facendo verrà abilitata la finestra sottostante, in cui scegliere il corretto profilo colore da impaginare.

 

Stampare con i profili con una stampante ed un monitor di qualità ci consentirà di avere prevedibilità di risultati, riducendo i tempi di lavoro ed azzerando la necessità di provini. In poche parole: maggior qualità e minori costi. Ma come creare o dove trovare i profili stampante? Ve lo racconterò in un prossimo articolo!

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Scattare fuori dallo studio: una inusuale posizione della luce 25 Oct 2018 12:50 AM (6 years ago)

In occasione della nostra oramai tradizionale visita al festival Corigliano Calabro Fotografia incontriamo l’amico Johnny Fusca che, affiancato dal suo team, si accinge a realizzare uno shooting di swimwear e ci invita ad affiancarlo durante le riprese.

Ci spostiamo quindi con piacere a bordo della piscina dell’esclusivo “Casino Caruso by White” di Corigliano Calabro, dove Johnny inizia ad allestire il set dando istruzioni ai collaboratori.

Come ci aveva già raccontato in un precedente incontro Johnny ci ricorda che tutti i suoi scatti sono realizzati fuori dallo studio. La sua necessità è pertanto quella di avere un’attrezzatura piccola e portatile ma potente e versatile per poter allestire rapidamente il set in qualsiasi situazione. Ecco perché la sua scelta è caduta sul nuovo ELB 500 TTL di Elinchrom, un flash a batteria con una potenza equivalente a 6 o 7 flash a slitta caratterizzato da una costruzione con gruppo elettronico e sorgente di luce separati.

Questa costruzione, apparentemente più complicata di soluzioni all-in-one, ha in realtà due grandi vantaggi. Il primo è la possibilità di collegare anche due torce al medesimo generatore, potendo così lavorare con due punti luce indipendenti. Il secondo è il contenimento di peso e dimensioni della torcia, che rappresenta l’elemento illuminante vero e proprio. Questa caratteristica si rivelerà fondamentale per il set approntato da Johnny.

 

Ci troviamo in una limpida mattinata calabrese con l’esigenza di ricreare una luce che sia in grado di competere con quella solare per potenza ma che nel contempo sia anche caratterizzata da una maggior morbidezza. Affinché ciò sia possibile si rende indispensabile ricorrere ad un softbox di grandi dimensioni e la scelta di Johnny ricade sul Rotalux 50x130cm.

ELB 500 TTL ha potenza in abbondanza, ma affinché la luce sia morbida è fondamentale che il softbox sia posizionato il più possibile vicino al soggetto.

La posizione scelta per far posare la modella, la belga Catalina Jacobs, lascia poche alternative al posizionamento della luce, ed ecco che a Pierpaolo, l’assistente di Johnny, non resta che  infilare il costume… e buttarsi in acqua!

È proprio in questa situazione che si apprezza la struttura di ELB 500 TTL. Il generatore vero e proprio può infatti essere lasciato a bordo vasca consentendo a Pierpaolo di manovrare unicamente la leggera torcia posizionata su un braccio a giraffa, in questo caso l’altrettanto leggera asta in carbonio di Phottix Padat, seguendo le istruzioni del fotografo.

Ben diversa sarebbe stata la possibilità di manovra e la fatica del nostro assistente se si fosse scelto di impiegare una più pesante unità flash con batteria integrata.

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Luce LED: quanta ne serve per fotografare? 12 Jul 2018 6:26 AM (7 years ago)

Il LED è una sorgente luminosa che diventa ogni giorno più popolare in quanto consente la realizzazione di illuminatori compatti, leggeri ed alimentabili a batterie, caratteristiche che ne ampliano le possibilità d’impiego, dentro e fuori lo studio.

Proprio da questa diffusione scaturisce una domanda oramai molto comune, ma per la quale non esiste una risposta immediata, ovvero: “Quanto deve essere potente una luce LED per permettermi di fotografare senza problemi?”

Iniziamo ad affrontare il problema partendo dal concetto di potenza luminosa. Spesso i costruttori indicano le potenze degli illuminatori LED esprimendole in Lux, in Lumen o anche in Watt ma riferendosi, in quest’ultimo caso, all’assorbimento complessivo dell’illuminatore o alla potenza del singolo LED. Questa commistione di unità di misura possiamo rilevarla anche sulle lampadine in vendita in un centro commerciale.

@ Marco Tortato

Queste diverse grandezze possono risultare poco intuitive. Chi fotografa, infatti, misura la luce con parametri “fotografici”: tempo di posa, diaframma ed ISO. Del resto lo stesso accade con i flash, la cui potenza può essere univocamente espressa in Watt secondo (Ws) o in Joule, ma quello che il fotografo vuole conoscere è il “numero guida”, ovvero il diaframma che può utilizzare ad una certa distanza e con una certa sensibilità.

Come abbiamo visto in un precedente articolo, la forma e la struttura della sorgente influenzano la quantità di luce che arriva sul soggetto e pertanto non è possibile costruire una tabella universalmente valida che metta in correlazione la potenza dell’illuminatore LED con i parametri di esposizione da utilizzare.


Prima di passare ad un’analisi più tecnica, propongo di partire da un approccio differente, ovvero cercare innanzitutto di capire il vero motivo per cui ci stiamo rivolgendo ad una sorgente di luce artificiale. Facciamo due esempi.

Se siamo alla ricerca di una luce continua che ci consenta di lavorare con tempi di scatto rapidi o con diaframmi chiusi, allora è necessario che l’illuminatole sia in grado di emettere una luce ben più potente di quella presente sul nostro set.

 

Un set realizzato in un ambiente poco luminoso, dove la modella è illuminata esclusivamente da due led Stella di Light & Motion

Se siamo invece alla ricerca di una luce continua che possa attenuare le ombre o ridurre i contrasti su un ritratto, allora la potenza dell’illuminatore potrà e dovrà essere inferiore alla luce ambiente. In entrambi i casi quindi il parametro di riferimento è la luce già presente sulla scena.

Partendo da questo presupposto, per capire quanto deve essere intensa la luce da inserire su un set dobbiamo innanzitutto conoscere i parametri di scatto (tempo, diaframma ed ISO) per la luce ambiente esistente.

Infine, il modo migliore per capire se un illuminatore LED è adeguato alle nostre esigenze è quello di misurarne la luce con un esposimetro posto alla distanza di lavoro, confrontando la lettura così ottenuta con i valori di esposizione rilevati in luce ambiente.

L’uso di un illuminatore LED Stella per compensare un forte controluce

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La luce del LED cade presto… 15 Jun 2018 5:56 AM (7 years ago)

A partire dall’avvento delle luci a LED e con l’utilizzo degli stessi in fotografia ci è capitato spesso, e forse sarà successo anche a voi, di udire affermazioni del tipo: “i LED fanno una bella luce, ma cade presto” oppure ancora: “i LED funzionano bene solo se li usi da vicino, ma se li usi lontano non fanno luce”

Ma tutto questo è vero e, soprattutto, cosa significa?

Innanzitutto è buona cosa ricordare che la luce visibile e le regole con cui essa si propaga sono sempre le stesse e sono indipendenti dal tipo di sorgente luminosa che la genera, sia essa un LED, una lampadina al tungsteno o un flash. Quindi perché vengono mosse queste obiezioni? Cerchiamo di capirlo insieme.

La potenza di una sorgente di luce

Molto spesso ci limitiamo a valutare la potenza di un illuminatore prendendo come valore di riferimento la potenza espressa in Watt dichiarata dal costrutture. Dobbiamo però tenere in considerazione che tale valore indica unicamente la potenza assorbita dalla batteria o dall’alimentatore, ma non indica necessariamente la resa luminosa.

 

Inoltre, bisogna prestare attenzione anche ad altri fattori che possono andare ad influire sulla resa dell’illuminatore, come ad esempio la forma e la struttura della sorgente di luce, perché si tratta di variabili che caratterizzeranno, a parità di potenza, sia l’intensità della luce che il suo effetto sul soggetto ripreso o fotografato.

Sebbene oggi si stiano affacciando al mercato anche torce LED costruite con un singolo diodo luminoso, gli illuminatori LED più diffusi sono ancora costruiti utilizzando numerose sorgenti luminose, ovvero unendo tanti singoli elementi LED di piccole dimensioni, in modo da ottenere una superficie illuminante più ampia. La potenza dei singoli elementi può pertanto essere esigua, ma il loro insieme contribuisce a realizzare una sorgente di luce con potenza luminosa ben più elevata.

L’ampia superficie luminosa di un pannello LED Rotolight (a sinistra) messa a contronto con quella di una torcia Stella Light & Motion (a destra)

 

Un illuminatore così realizzato si comporta come se fosse un piccolo softbox posto davanti ad una luce puntiforme (quindi un flash oppure una lampadina al tungsteno), ovvero emette una luce diffusa e perfettamente uniforme. La differenza è che nel pannello LED la potenza della sorgente è distribuita in maniera omogenea mentre nel caso delle altre sorgenti la luce viene emanata da un unico elemento e successivamente diffusa.

A parità di potenza luminosa, dobbiamo sempre considerare quanto è grande la superficie che la emette.

Se la potenza è distribuita su una superficie ampia, la luce farà “meno strada” rispetto ad una luce di pari potenza (luminosa) ma concentrata in uno spazio più ristretto.

Come spesso capita parando di luce, anche in questo caso possiamo esemplificare il concetto con un paragone… idraulico: pensiamo alla luce erogabile dal nostro illuminatore come al vino contenuto in una botte. Ora, se praticassimo un piccolo foro in prossimità del fondo della botte, il vino uscirebbe con un lungo zampillo. Se però allargassimo il foro, o praticassimo un maggior numero di fori di pari dimensioni (come la quantità di singoli LED sul pannello), la pressione del vino (o nel nostro caso la potenza luminosa del pannello) verrebbe distribuita su più “uscite”, zampillando con meno forza ed arrivando meno lontano.

Ancora dubbiosi? Armatevi di botte e trapano ma… non sprecate il vino, usate dell’acqua! 🙂

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Simulazione effetto tapparella con Photoshop 3 May 2018 11:36 PM (7 years ago)

In un precedente tutorial abbiamo visto gli usi creativi offerti dagli aggiuntivi ottici applicabili ai flash da studio.
Gli impieghi di questi accessori sono davvero numerosi e, a mio avviso, sempre d’effetto. Tuttavia il loro costo, sensibilmente più elevato di quello di altri modificatori di luce, ne limita spesso l’utilizzo in ambito professionale.

Complice probabilmente un’adolescenza segnata dalle scene dello spogliarello di Kim Basinger dietro le persiane di “9 settimane e mezzo”, una delle applicazioni di questi prodotti che preferisco è proprio la simulazione dell’effetto tapparella.

In mancanza dello zoom spot, vediamo come poter ottenere tale effetto con Photoshop, partendo da un’immagine “che si presti”, sia in termini di soggetto 🙂 che di sfondo. Per una miglior resa, infatti, il fondale deve avere un tono medio, né chiaro né scuro.

Apriamo la nostra immagine e, con lo strumento “selezione rettangolare” selezioniamo una sottile porzione della foto, facendo in modo che la selezione tocchi i due bordi opposti.

Premendo il tasto delle maiuscole, ripetiamo l’operazione per aggiungere altre sottili striscia alla nostra selezione.

Dal menù “selezione” scegliamo la voce “trasforma selezione”. Le nostre numerose strisce verranno racchiuse in un box con le classiche “maniglie” che ci permetteranno di ridimensionare e spostare tutto il gruppo.

Incliniamolo a piacimento ed ingrandiamo la selezione fino a far uscire dai bordi dell’immagine le sottili strisce. Dal menù “selezione” scegliamo la voce “Modifica” > “Sfuma” ed inseriamo un valore di sfumatura intorno a 40.

Dal pannello livelli creiamo un nuovo livello di regolazione e scegliamo “valori tonali”. Dopodiché nel pannello “Proprietà” impostiamo il cursore dei toni medi su un valore intorno a 1,50-2,0.

Premendo il tasto Cmd (Mac) o Control (PC), clicchiamo sulla maschera della nostra “tapparella” visualizzata nel pannello dei livelli.
Questa operazione ci ricaricherà la selezione, che provvederemo ad invertire: menù “Selezione” > “Inversa”

 

Creiamo un nuovo livello di regolazione ma, questa volta, nel pannello delle proprietà, impostiamo il cursore dei toni medi su un valore inferiore ad 1: nel caso della nostra foto 0,60 rappresenta un buon compromesso.

Et voilà: ecco il nostro “effetto tapparella” ricreato a tavolino con pochi clic!

 

 

 

 

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L’importanza del diaframma 12 Apr 2018 7:03 AM (7 years ago)

Nell’articolo precedente abbiamo definito i tre parametri da padroneggiare, in funzione della quantità di luce presente sulla scena, per realizzare delle fotografie correttamente esposte. Abbiamo anche visto quali sono le impostazioni per dare priorità ad uno di questi valori e lasciar calcolare gli altri alla macchina fotografica.

Dovremmo anche aver capito che, se l’unico fine è quello di esporre correttamente le nostre immagini, le combinazioni possibili di sensibilità, tempo di scatto e diaframma sono veramente numerose. Perché allora preoccuparsi di scegliere un particolare tempo o un particolare diaframma?

Se la scelta del tempo di scatto influisce su come la nostra immagine registrerà il movimento, un valore di diaframma più aperto o più chiuso ci permetterà di gestire le zone nitide e le zone sfuocate.

Ma partiamo dall’inizio…

Il diaframma

Il diaframma è un elemento meccanico presente nell’obiettivo della macchina fotografica, per la precisione in quello che viene chiamato “centro ottico” della lente. La sua funzione è quella di variare il diametro del foro attraverso cui passa la luce che colpirà il sensore.

La scala che indica le aperture di diaframma è composta da strani valori numerici, preceduti dal simbolo f/, che spesso, per praticità, sulle fotocamere viene emesso:

f/1 — f/1,4 — f/2 — f/2,8 — f/4 — f/5,6 — f/8 — f/11 — f/16 — f/22 — f/32  eccetera

 

 

Perché una scala così strana e poco intuitiva e, soprattutto, cosa significa il simbolo f/?

Lo scopo di questi numeri è quello di indicare in modo omogeneo la “quantità” di luce che transita nell’ottica e che quindi sarà in grado di fornire lo stesso valore di esposizione anche con obiettivi di lunghezza focale diversa. Per fare ciò, dovremo indicare l’apertura in funzione della lunghezza focale, e il simbolo f/ sta proprio ad indicare quest’ultima.

Proviamo ad esemplificare:

Questo, tra le altre cose, ci spiega perché i teleobiettivi “luminosi”, quindi capaci di ampie aperture di diaframma, abbiano sempre dimensioni e pesi considerevoli.

Così come accade per i tempi, la scala sopra indicata riporta solo incrementi interi di 1 stop. Non è raro trovare fotocamere che consentano di impostare anche scatti di mezzo stop o di 1/3 di stop per una più precisa regolazione.

La regolazione del diaframma è un elemento importantissimo: ci consente, tra le altre cose, di decidere l’estensione della porzione di immagine da registrare nitidamente.

 

A cosa serve il diaframma

Negli articoli precedenti lo abbiamo paragonato ad un rubinetto che, a seconda del grado di apertura, lascerà passare un flusso d’acqua più o meno copioso.

Dal punto di vista dell’esposizione, pertanto, il suo uso risulta abbastanza intuitivo:

Da un punto di vista più “artistico” però, il diaframma ci consente anche di decidere l’estensione della porzione di immagine da registrare nitidamente: in una parola, anzi due, la profondità di campo.

Ogni obiettivo può essere messo a fuoco ad una particolare distanza e, da un punto di vista squisitamente teorico, solo gli oggetti presenti a tale distanza verrebbero riprodotti nitidamente. Nella pratica, invece, la zona nitida si estende anche un po’ prima ed un po’ dopo il piano di messa a fuoco fissato, e l’impiego di un valore di diaframma più o meno chiuso ci consente di regolare quanto questa zona di nitidezza debba estendersi.

Lo scatto con un obiettivo particolarmente “luminoso”: 50mm f/0,95 – La profondità di campo è talmente ridotta, che solo uno dei due occhi del soggetto risulta a fuoco.

L’uso di un diaframma aperto comporterà una ridotta profondità di campo. L’immagine sarà nitida solo sul piano focheggiato, e le altre zone diverranno subito sfuocate. Una regolazione di questo tipo può essere utile per isolare il soggetto dallo sfondo, staccandone i piani.

 

Lo scatto con un 200mm a f/2.8 consente di “staccare” il soggetto dallo sfondo, che risulta intuibile ma sfuocato per non distrarre l’attenzione.

 

Al contrario l’uso di un diaframma chiuso massimizzerà la profondità di campo, utile quando il soggetto si estende lungo l’asse di ripresa o quando si vogliono registrare in modo nitido elementi presenti su diversi piani della scena.

 

Lo scatto con un grandangolo ad f/11 consente di avere nitidamente a fuoco un’ampia porzione di spazio, dal primo piano allo sfondo.

 

Anche in questo caso, l’utilizzo di un diaframma chiuso a f/16 consente di poter leggere sia i soggetti vicini alla fotocamera che quelli sullo sfondo.

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Buon compleanno Total-Photoshop, 10 anni di creatività da festeggiare insieme 10 Apr 2018 2:11 AM (7 years ago)

Sembra ieri, davvero, eppure sono già passati dieci (e sottolineo dieci) anni da quel fatidico 2008.
Dieci anni fa incominciavamo con un blog sul quale postavamo, ogni giorno, decine di consigli per utilizzare Photoshop in modo più semplice ed efficace, poi sono arrivate le interviste e gli ospiti.

Il primo in assoluto è stato Scott Kelby, uno dei personaggi di punta del panorama internazionale per quello che riguarda la formazione sugli strumenti della fotografia Photoshop e Lightroom; al contrario di molti italiani, Scott si è prestato davvero volentieri a chiacchierare sulle nostre pagine.

Ti dico solo che quando abbiamo iniziato c’era la versione CS3 di Photoshop e i nostri primi video corsi erano in DVD con tanto di bollini SIAE.
Praticamente si erano appena estinti i dinosauri!

Un percorso in salita il nostro, fatto di un sacco di gente non ci credeva e che non ci avrebbe dato una lira. “Un altro sito su Photoshop? Ma non potevate inventarvi qualcosa d’altro?”, questo è quello che ci dicevano quasi tutti. Non ti dico cosa succedeva quando andavamo con telecamera e microfono alle prime fiere o agli eventi del settore. Da ridere:”Ma chi sono questi? Cosa vogliono?”

Eppure, tiri una linea e scopri che in questi dieci anni, abbiamo fatto formazione e informazione a oltre 6 milioni di italiani in tutto il mondo (sì, perché gli italiani sono davvero ovunque!).

Eravamo i primi a fare i video tutorial e siamo tutt’ora (ci dicono) il punto di riferimento per chi vuole imparare in modo organizzato, semplice e in italiano.

“Ma su YouTube trovi tutto”

Tutti i tutorial di Total Photoshop su YouTube

 

Anche questa ce l’hanno detta almeno un milione di volte. Ma noi non abbiamo voluto ascoltare i disfattisti e, sembra, abbiamo avuto ragione a farlo.
Sono passate molte facce sui nostri schermi, molti amici sono passati di qui, altri hanno preso il volo per strade diverse ma, comunque, ne è valsa la pena, per tutti. Almeno, io la penso così.

Ecco perché, bando alla nostalgia, è doveroso e irrimandabile, festeggiare come si deve!

Ecco come festeggiamo i 10 anni di Total-Photoshop

Visto che dieci anni non si fanno così facilmente sul web, è davvero il caso di festeggiare in modo adeguato.
Avevamo pensato ad un evento dal vivo per incontrarci tutti quanti al Forum di Assago, ma era già tutto prenotato! Allora, per cominciare, abbiamo pensato che fare una bella campagna “tutto al 50%” avrebbe reso contenti molti più amici (“ma soprattutto amiche” – questa era per gli intenditori 😉 )

La festa inizia oggi e va avanti fino alla fine di aprile… ma non pensare che finisca qui!
Abbiamo in serbo altre idee e progetti che spunteranno prossimamente e proseguiranno fino a fine dell’anno.

Esprimi un desiderio…

I desideri di tutti quelli come me e te ci hanno permesso di portare avanti questo incredibile progetto, così nonostante il compleanno sia di Total-Photoshop, ti invitiamo a soffiare insieme a noi le candeline e ad esprimere anche tu un desiderio:

  • Che cosa vorresti vedere su Total-Photoshop?
  • Tutorial, articoli, corsi, webinar? Su che cosa? Quali sono i tuoi argomenti preferiti?
  • Che cosa vorresti imparare?

Dicci la tua nei commenti e vediamo come organizzarci per realizzare anche quanto da te sperato 😉

L'articolo Buon compleanno Total-Photoshop, 10 anni di creatività da festeggiare insieme proviene da Total-Photoshop.

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